IMPRESA E LAVORO

Rinnovo del Ccnl Agenzie per il lavoro

È stata firmata l’ipotesi di accordo per il rinnovo del Ccnl Agenzie per il lavoro. Tante le novità del testo, che si preoccupa di promuovere la continuità occupazionale e la formazione dei lavoratori temporanei.

Clicca di seguito per scaricare il testo: Ipotesi Rinnovo CCNL 21.12.2018

Riforma dei centri per l’impiego, gestione delle crisi aziendali e lotta alla precarietà:

con queste parole chiave il nuovo ministro del lavoro e dello sviluppo economico, Luigi Di Maio, ha dettato l’agenda della nuova stagione di governo sui temi del lavoro. Una lista largamente condivisibile, ma molto difficile da realizzare, perché l’ampiezza e la profondità delle questioni che si devono affrontare richiederanno scelte complesse e non sempre popolari. La riforma dei Centri per l’impiego dovrà essere affrontata cercando soluzioni innovative e rompendo schemi che sembrano consolidati. Secondo un ragionamento molto diffuso tra gli operatori e gli esperti del settore, i Centri avrebbero bisogno di più personale e maggiori risorse per svolgere meglio i loro compiti. Questa considerazione va rovesciata, perché un aumento degli investimenti sulle strutture esistenti aggraverebbe, invece di risolvere, il problema della poco incidenza sul mercato del lavoro dei servizi pubblici, il cui vizio d’origine non deriva dalla scarsità delle risorse ma dall’adozione di un modello vecchio e anacronistico. Il compito di occuparsi dell’erogazione dei servizi deve essere affidato a chi lo sa svolgere con maggiore efficienza e minori costi: le agenzie private, l’associazionismo e gli altri operatori che a vario titolo intervengono nell’incontro tra domanda e offerta di lavoro (scuole, università, ordini professionali, parti sociali, ecc.). Il coinvolgimento di questi soggetti dovrebbe realizzarsi con incentivi economici correlati ai risultati conseguiti, in modo da rendere selettiva ed efficiente la spesa pubblica. I risultati di questo meccanismo sarebbero garantiti: basta guardare al sistema della dote unica applicato in Lombardia per verificarlo. Un sistema funzionante di servizi per l’impiego aiuterebbe a gestire in modo efficiente anche le crisi aziendali, altro tema messo nell’agenda di Governo. Se oggi un’azienda annuncia un piano di esuberi, la parte pubblica che svolge il difficile compito di mediazione tra le parti ha pochissimi strumenti da mettere in campo, a parte la capacità di moral suasion. Bisogna potenziare la “cassetta degli attrezzi” di chi deve gestire le crisi, consentendogli di offrire alle aziende in sofferenza strumenti nuovi per ridurre gli esuberi senza arrivare ai licenziamenti, da un lato, e potenziando le tutele attive ai lavoratori licenziati se la crisi non si risolve, dall’altro (con un assegno di ricollocazione più tempestivo ed efficiente rispetto a questo sperimentato finora). Il terzo tema messo in agenda dal ministro Di Maio, la lotta alla precarietà, è quello a maggiore rischio demagogia. È giusto creare le condizioni affinché il lavoro sia stabile e duraturo: un paese moderno non può fondare la propria economia sull’incertezza lavorativa; bisogna tuttavia stare attenti a fare le mosse giusto per invertire la rotta. Già nella scorsa legislatura è stato pagato un pegno importante a questa impostazione: la scelta di cancellare il voucher, presentata mediaticamente come una forma di contrasto agli abusi, ha peggiorato le condizioni dei lavoratori della gig economy, che sono rimasti orfani dell’unico strumento contrattuale capace di assicurare un trattamento normativo decoroso e sono finiti tra le braccia di contratti largamente irregolari o inadeguati. Non bisogna ripetere quell’errore attaccando contratti come il tempo determinato e la somministrazione che, pur essendo flessibili, garantiscono un lavoro regolare e stabile, assicurando l’applicazione piena dei diritti normativi, contrattuali e previdenziali. L’obiettivo da colpire è un altro: bisogna restituire (come prevede lo stesso “contratto” di governo) al mercato uno strumento semplice di gestione dei lavori saltuari, garantire un trattamento economico minimo inderogabile per tutti e, soprattutto, attaccare quei meccanismi contrattuali (appalti illeciti, esternalizzazioni irregolari, false parasubordinazioni e partite Iva) che fanno largo uso del lavoro precario, con forme che impediscono di programmare il futuro oltre un orizzonte di poche settimane.

Il datore di lavoro può integrare in giudizio le motivazioni del licenziamento intimato al Dirigente

I Dirigenti del settore Industria possono essere licenziati con motivazione concisa in quanto al datore-di-lavoro è concessa la facoltà di integrare o esplicitare i motivi anche in sede giudiziale. Specificamente, il datore di lavoro potrà esplicitare o integrare la motivazione posta alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo del Dirigente nelle more del procedimento incardinato dinanzi al Giudice o in sede di giudizio arbitrale qualora tale motivazione non sia stata resa con il licenziamento ovvero risulti generica o insufficiente, nel rispetto del contraddittorio che deve essere sempre garantito. Il CCNL Dirigenti Industria, infatti, sebbene da un lato impone la contestualità delle motivazioni del licenziamento, dall’altro, in mancanza di tale contestualità, non legittima automaticamente il Dirigente ad ottenere il pagamento dell’indennità supplementare prevista a titolo risarcitorio, subordinando tale diritto all’accertamento dell’eventuale inadempimento contrattuale – posto in essere dall’azienda – da parte del Collegio Arbitrale o del Giudice del Lavoro. Sempre secondo il CCNL in esame, in sede arbitrale il datore di lavoro può esplicitare (o integrare) le motivazioni addotte e a ciò consegue che, dinanzi al Collegio, le precisazioni fornite successivamente al licenziamento possono – qualora ritenute adeguate – scongiurare per l’azienda il rischio del pagamento dell’indennità supplementare. Pertanto, la Corte di Cassazione, pronunciatasi sul punto con la sentenza n. 3147/2019, ha riportato le considerazioni sopra esposte previste dal CCNL Industria in caso di ricorso del Dirigente al Collegio di Arbitri anche per la sede giudiziale, muovendo dal presupposto dell’alternatività per il Dirigente di adire il Collegio Arbitrale o il Tribunale nel caso in cui ritenga il licenziamento ingiustificato. In altre parole, muovendo dalla lettura del CCNL Industria, la Suprema Corte permette al datore di lavoro di esplicitare o integrare le motivazioni addotte al licenziamento del Dirigente, poi impugnato, anche in una fase successiva nel rispetto del contraddittorio.